Recuperare il valore del dialogo: una sfida contemporanea
DALL'ULTIMO LIBRO DI DON COCCONI UNA RIFLESSIONE SULLA PAROLA TRA GIORNALISMO, LINGUISTICA E RELIGIONE
In un’epoca in cui si ergono muri, si chiudono confini e non si risponde più ai bisogni dell’altro, riaprirsi al dialogo è fondamentale. Questo l’auspicio che è emerso dalla conferenza ‘Esperienze della parola’, tenutasi mercoledì 7 novembre nella Sede Centrale dell’Università di Parma, nonché il tema centrale del volume ‘Commenti al Vangelo di Marco’ di don Umberto Cocconi. In occasione dell’uscita del nuovo libro sono intervenuti, oltre allo stesso Cocconi, sacerdote cappellano della Pastorale universitaria di Parma, il giornalista e scrittore Maurizio Chierici, autore dell’introduzione ai ‘Commenti’, e Davide Astori, docente di linguistica generale all’Università di Parma ed esperto in lingue e culture straniere. Mentre nell’Aula dei Filosofi le fotografie naturalistiche di Francesco Falsi scorrevano sullo sfondo, i relatori condividevano un punto fermo: l’importanza della comunicazione nel mondo odierno.
CHIERICI E LE PAROLE RITROVATE – “Le parole si sono sciolte. Prima di tutto nei giornali e alla televisione”, esordisce Chierici, il primo ad intervenire. “Certe parole una volta non si pronunciavano, questa cosa la si imparava in famiglia. La parola ‘piede’ – racconta, facendo un esempio – già sembrava volgare.” Ma le cose cambiano e oggi le ‘parole discutibili’, come le definisce, dilagano ovunque. Assieme alle ‘parole di potere’, proprie dell’ambiente politico e degli slogan pubblicitari, inquinano la comunicazione e “non trasmettono più il contenuto di tante verità“. Ecco il compito del giornalista: “Deve chiarire al lettore le parole ambigue”. Ci sono, però, anche le ‘parole della speranza’, che non hanno bisogno di delucidazioni e non cambiano mai. “Attraversano tutte le fasi, il tempo, gli individui, il mondo e lo spazio.” Sono quelle che Maurizio Chierici dichiara di aver trovato tra i commenti di don Umberto. Sono le stesse che, durante la sua attività di inviato, aveva sentito pronunciare in Salvador da chi non aveva rinunciato a prendere le parti dei perseguitati ed era stato definito ‘terzomondista’. Sono quelle che fanno onore a Papa Francesco quando dice: “Questa è la Chiesa dei poveri”. Sono le parole che continuano a comunicare assistenza, difesa ed accoglienza per chi non possiede nulla e ha bisogno di aiuto. Sono, lo lascia intendere Maurizio Chierici, le più importanti.
LA COMUNICAZIONE DI ASTORI COME DONO DI SÉ – “Non sapevo se accettare o meno questo invito.” Inizia così l’intervento di Davide Astori, ammettendo che tra Chierici e Cocconi finisce per sentirsi “un po’ come Isacco tra Abramo e Giacobbe.” Ciò nonostante, il linguista non manca di affascinare il pubblico conducendo una riflessione su una delle parole in cui si è imbattuto spesso durante la lettura dei ‘Commenti’: comunicazione. Partendo dalla concezione più comune del vocabolo – comunicazione come ciò che permette lo scambio di informazioni – elabora il concetto di comunicazione come dono di sé all’altro. “La micro lingua del primo cristianesimo ha esteso il significato del termine al fare la comunione, al comunicarsi”, spiega. Ed è questo aprirsi, questo darsi, a rendere l’uomo capace di incontrarsi. Inoltre, precisa Astori: “Non esiste uomo se non esiste la comunicazione con l’altro.” L’incontro è, dunque, fondamentale, poiché la natura stessa dell’uomo-individuo non sussiste senza il confronto con l’altro da sé. Astori conclude invitando ad una riflessione su come considerare l’altro: “A seconda del rapporto che abbiamo con l’uomo che ci si avvicina noi possiamo considerarlo un’occasione di arricchimento o un rischio, qualcosa che può mettere in crisi le nostre sicurezze. Su questo si sta giocando molto nella nostra contemporaneità.”
PAROLE DI ACCOGLIENZA – È emozionato don Umberto, “profondamente”, dice. Si alza in piedi e pronuncia il suo discorso con tono chiaro e appassionato. Ciò che più gli preme è far capire ai presenti l’importanza del saper accogliere: “La felicità, l’incontro, il sentirsi amati, non è questo il regno di Dio? Il luogo dell’accoglienza, il luogo in cui ti senti a casa, capito, compreso nella tua alterità!”. Raccontando una parabola, don Umberto vuole regalare un’immagine di ciò che chiama regno di Dio: “Gesù parla di un seme. Quando viene seminato diventa una pianta e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo fanno lì il loro nido. Su questa pianta non ti viene chiesto qualche certificato per poterti fermare. La pianta accoglie tutti! Tutti possono ricevere l’ombra, la protezione. Questo è il regno di Dio: la casa che ti accoglie.” Sorride don Umberto mentre si rivolge ai presenti. Li conosce, il pubblico conta molti dei suoi fedeli e di chi lo conosce per l’attività svolta con l’associazione ‘San Cristoforo’ Onlus . È presente anche il rettore dell’Università di Parma, Paolo Andrei, che si alza per ringraziare e aggiungere una considerazione finale: “Se si tendesse alla relazione, se si percepisse il bisogno di relazionarsi, molti dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare verrebbero considerati diversamente.”
di Eva Skabar
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